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MAHMUD DARWISH

PERCHÈ HAI LASCIATO IL CAVALLO ALLA SUA SOLITUDINE?

  • Collana Ossidiana

  • 2024, pp. 292

  • isbn: 979-12-80475-13-8

  •  

    € 25,00

La fuga in Libano, di notte, con le pallottole che fischiavano intorno. L’esilio. La diaspora palestinese.  «Quella notte ha messo fine alla mia infanzia. Non chiedevo più nulla, ero diventato improvvisamente adulto. In Libano ho imparato – mai lo dimenticherò – che cosa significa la parola patria». Huriyya, la madre, la terra. «Come il puledro buttati sul mondo. / Sii te stesso ovunque. Porta / il peso solo del tuo cuore e torna / se si allarga e cambia il tuo paese». José Saramago, parlando di Mahmud Darwish dice: «Se il nostro mondo fosse un po’ più sensibile e intelligente, più attento alla grandezza quasi sublime di alcune delle vite che lo attraversano, il suo nome sarebbe oggi conosciuto e ammirato come, per esempio, lo fu in vita quello di Pablo Neruda». La sua poesia è per Ghiannis Ritsos, come un canto epico o un’epica lirica. E ritornando in Palestina, dopo due notti di marcia estenuante: «ci chiamavano i presenti assenti perché non avevamo diritto a nulla». «Un luogo non è solamente un’estensione geografica, ma anche uno stato interiore. Né gli alberi sono solamente alberi, ma costole dell’infanzia e pianto colato dalle punte delle dita mentre l’autobus passava veloce». «Nel momento in cui loro sono diventati cittadini tu sei diventato profugo». «Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?» Dice Darwish a Lucy Ladikoff, che l’ha meravigliosamente tradotta «è l’opera che ho amato di più». Parola come sorgente, respiro-immagine di una terra impressa nel cuore come un segno prenatale. «Perché hai lasciato il cavallo / alla sua solitudine, padre? / Perché ci sia vita nella casa, figliolo. / Le case muoiono / se chi le abita / va via».

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